Chi veramente conosce un albero...
“Chi veramente conosce un albero conosce Tutto”. Questa affermazione di uno dei più grandi geni del pensiero del II millennio, Vladimir Solov’ev, ci dice almeno due cose oggi molto preziose: che la conoscenza non cresce nella quantità enciclopedica dei dati e che conta la qualità della conoscenza. La qualità cui si riferisce è il sapere integrale, cioè il tenere costantemente insieme l’analisi del dettaglio e la sintesi dell’insieme. Si tratta dunque di vedere tutta la realtà esistente come un organismo vivente, come un intreccio dei nessi vitali che uniscono ogni singolo dettaglio e la totalità di tutto ciò che esiste. Sembra che oggi su queste cose si giochi il futuro della nostra esistenza e del mondo. I secoli della nostra storia testimoniano di una feroce rivalità tra l’individuo e la totalità. Siamo stati testimoni di esclusivismi, antagonismi, lotte e rivoluzioni, tentativi serrati di prevaricazione e di schiacciamento dell’uno o dell’altro. E ciò a livello della stessa conoscenza, a livello delle scienze, e a livello della società, sia quella micro come la famiglia, piccola comunità, sia sul piano della storia delle nazioni e degli stati. Solov’ev fa notare l’unità della conoscenza e della vita. Conosce veramente chi conosce la vita. Conoscere le cose separate dalla vita significa creare dei concetti, delle teorie e imporre delle pratiche che prima o poi saranno un tremendo urto e conflitto con la vita. Spingere la vita in formule prefabbricate, in concetti astrattamente precostituiti, o in leggi moralisticamente imposte, significa non conoscere la verità della vita. La vita non segue le teorie, ma cammina con la sapienza. E l’inizio della sapienza è la capacità di ammettere e riconoscere con rispetto e timore ciò che veramente esiste.
Ogni vero artista si riconosce dal suo inizio, perchè un vero talento si fa sentire. È come un’acqua che non si riesce a trattenere, un fuoco che non si può spegnere. E quando si fa sentire non si può giudicare con i criteri della maturità dell’opera creata, ma si giudica soprattutto secondo la forza con cui si presenta, secondo dove si colloca la sua creatività, cioè con chi si sente familiare e se in quella familiarità in cui si colloca lascia intravedere dei tocchi di un certo quid di nuovo, cioè di personale.
Casale entra sul palcoscenico della pittura contemporanea cercando il suo posto tra quelli che amano un realismo visivo quasi estremo. Lo possiamo chiamare super realismo, iper realismo o così come diversi critici hanno battezzato le correnti artistiche che nascevano soprattutto nell’ambito anglossassone americano. Colpisce immediatamente una notevole padronanza della mano e del pennello. Ma ancor più colpisce l’attenzione di un giovane artista alla realtà. Casale di per sé fa parte di una generazione ormai digitale, dunque più propensa all’immaginario, al virtuale, al sognante, al ludico. E proprio per questo stupisce ancora di più la sua attenzione e, oserei dire, il suo amore per la realtà. A una superficiale visione dei suoi quadri si potrebbe essere tentati di dire la sua attenzione alla realtà tale e quale. Ma qui si rende necessaria una forte distinzione. Quanto è ammirevole che un giovane parta dalla realtà, da ciò che veramente esiste, da ciò che lui trova nella sua vita, tanto più è ammirevole che lui scopra che la realtà in qualche modo esiste in un inscindibile legame con la luce. Il rapporto tra la superficie di un oggetto - che lui riesce a riprodurre pittoricamente notevolmente bene - e la luce. Questo legame sembra diventare per il giovane pittore la questione fondamentale, il filo rosso del suo cammino artistico. Tanto è vero che non riesce a fermarsi sugli oggetti morti, ma da buon mediterraneo, a differenza delle correnti americane cui guardava, prende in considerazione la frutta, la verdura, come anche i dettagli dei volti. Dunque intuitivamente avverte che la realtà da considerare è quella viva e che la vita non è possibile pensarla senza la luce. Luce, vita ed esistenza. Allora conoscere un’ arancia, una mela, una pera vuol dire non fermarsi all’apparenza ottica ma inseguire i sentieri della luce. Quando ci si incammina sulle vie della luce lo spirituale e il religioso diventano familiari. Bisogna avere una certa profondità del cuore per cogliere la luce, bisogna essere miti, non aggressivi, non superbi. Perché la luce i presuntuosi non la vedono. Ed essa stessa ai loro occhi si ritira.
Casale fa un passo successivo, a mio parere di grande importanza. Probabilmente su questo passaggio influisce anche una sua attività artistica con le pietre, con la materia dura e resistente che ti costringe in modo più esplicito a tener conto di essa. Casale passa dai frutti all’albero. Non si può fermare su una mela, un limone. I frutti sono uniti all’albero. E Casale apre una serie di quadri che fanno vedere una diligente ricerca sull’albero. L’albero viene dalla terra e Casale viene attratto esattamente da quello spazio in cui la terra diventa albero, ossia dove l’albero affonda nella terra. Poi l’albero è un tronco potente che si innalza, una colonna. L’acquarello che Casale sceglie come tecnica pittorica si presta molto bene ad esprimere ciò che diventa evidente: le chiazze di colori, quasi a richiamare la seconda generazione di impressionisti, fanno vedere la serie di tronchi che si innalzano dalla terra e diventano inabitati di luce. I tronchi come colonne di luce. Tanto è vero che nella maggioranza dei casi il tronco nella parte superiore del quadro si perde nello sfondo, in questa luce che si unisce con il cielo e viceversa. La terra e il cielo, oppure l’oscurità della terra e la luce, l’albero come luogo di incontro, l’albero come organismo di unità. Anche nella Bibbia l’albero ha un significato di fondamentale importanza e si può riassumere proprio come il posto della vita e dell’unità. Anche Casale fa il tronco, ma viene attratto anche dallo spazio disegnato da due tronchi, o tre, o quattro, ossia dal bosco. Nasce un’architettura della luce, della trasparenza e della materia opaca che potrebbe a momenti sembrare in contrasto, anche drammatico, con la luce, ma a momenti appare anche come evidenziatore, come quella che evidenzia la luce. Non c’è dubbio che il rapporto tra il tronco e il bosco viene scandito con un’architettura di un certo tono drammatico. Questo fatto testimonia semplicemente della verità dell’arte del nostro autore. Perché niente di ciò che è vero è facile. Potrebbe colpire il fatto che non vediamo le chiome: alcuni potrebbero cominciare a cercare le motivazioni di chi sa quale subconscio. Ma l’artista mi sembra talmente impegnato nella sua ricerca che lascia sufficientemente aperta la porta per poterlo seguire. Si è attratti dalla bellissima superficie delle cose vive del creato. Ma questo fascino è il frutto della luce. Seguire la luce significa scoprire dentro una realtà una realtà più profonda. Più o meno come vedere una pietra nella natura o vederla dopo collocata in una colonna della cattedrale gotica. Questi acquarelli dei tronchi difatti sembrano delle colonnate. L’artista ci sta invitando alla contemplazione, a guardare il mondo come una cattedrale. Ci sono dei toni alle volte molto scuri che quasi potrebbero ricordare il bruciato. E dunque anche se l’artista è giovane, o proprio perché è giovane, avverte che forse non tutti vedono così, non tutti seguono la luce e che una vita contemplativa, una conoscenza contemplativa passa per il dramma, così come la luce passa per il fuoco.
Casale dunque entra nella pittura odierna agganciandosi a delle correnti americane segnate da una certa moda, ma lui immediatamente fa vedere che questo gli serviva come ponte per lo sbarco. La sua ricerca si orienta infatti alle tradizioni pittoricamente più ricche della tradizione europea. Il mio augurio è che lui progredisca senza stancarsi e senza lasciarsi condizionare dagli applausi e dalle critiche, seguendo i sentieri della luce, visitando i tesori della memoria per avere la forza del divenire.
p. Marko Ivan Rupnik
Ogni vero artista si riconosce dal suo inizio, perchè un vero talento si fa sentire. È come un’acqua che non si riesce a trattenere, un fuoco che non si può spegnere. E quando si fa sentire non si può giudicare con i criteri della maturità dell’opera creata, ma si giudica soprattutto secondo la forza con cui si presenta, secondo dove si colloca la sua creatività, cioè con chi si sente familiare e se in quella familiarità in cui si colloca lascia intravedere dei tocchi di un certo quid di nuovo, cioè di personale.
Casale entra sul palcoscenico della pittura contemporanea cercando il suo posto tra quelli che amano un realismo visivo quasi estremo. Lo possiamo chiamare super realismo, iper realismo o così come diversi critici hanno battezzato le correnti artistiche che nascevano soprattutto nell’ambito anglossassone americano. Colpisce immediatamente una notevole padronanza della mano e del pennello. Ma ancor più colpisce l’attenzione di un giovane artista alla realtà. Casale di per sé fa parte di una generazione ormai digitale, dunque più propensa all’immaginario, al virtuale, al sognante, al ludico. E proprio per questo stupisce ancora di più la sua attenzione e, oserei dire, il suo amore per la realtà. A una superficiale visione dei suoi quadri si potrebbe essere tentati di dire la sua attenzione alla realtà tale e quale. Ma qui si rende necessaria una forte distinzione. Quanto è ammirevole che un giovane parta dalla realtà, da ciò che veramente esiste, da ciò che lui trova nella sua vita, tanto più è ammirevole che lui scopra che la realtà in qualche modo esiste in un inscindibile legame con la luce. Il rapporto tra la superficie di un oggetto - che lui riesce a riprodurre pittoricamente notevolmente bene - e la luce. Questo legame sembra diventare per il giovane pittore la questione fondamentale, il filo rosso del suo cammino artistico. Tanto è vero che non riesce a fermarsi sugli oggetti morti, ma da buon mediterraneo, a differenza delle correnti americane cui guardava, prende in considerazione la frutta, la verdura, come anche i dettagli dei volti. Dunque intuitivamente avverte che la realtà da considerare è quella viva e che la vita non è possibile pensarla senza la luce. Luce, vita ed esistenza. Allora conoscere un’ arancia, una mela, una pera vuol dire non fermarsi all’apparenza ottica ma inseguire i sentieri della luce. Quando ci si incammina sulle vie della luce lo spirituale e il religioso diventano familiari. Bisogna avere una certa profondità del cuore per cogliere la luce, bisogna essere miti, non aggressivi, non superbi. Perché la luce i presuntuosi non la vedono. Ed essa stessa ai loro occhi si ritira.
Casale fa un passo successivo, a mio parere di grande importanza. Probabilmente su questo passaggio influisce anche una sua attività artistica con le pietre, con la materia dura e resistente che ti costringe in modo più esplicito a tener conto di essa. Casale passa dai frutti all’albero. Non si può fermare su una mela, un limone. I frutti sono uniti all’albero. E Casale apre una serie di quadri che fanno vedere una diligente ricerca sull’albero. L’albero viene dalla terra e Casale viene attratto esattamente da quello spazio in cui la terra diventa albero, ossia dove l’albero affonda nella terra. Poi l’albero è un tronco potente che si innalza, una colonna. L’acquarello che Casale sceglie come tecnica pittorica si presta molto bene ad esprimere ciò che diventa evidente: le chiazze di colori, quasi a richiamare la seconda generazione di impressionisti, fanno vedere la serie di tronchi che si innalzano dalla terra e diventano inabitati di luce. I tronchi come colonne di luce. Tanto è vero che nella maggioranza dei casi il tronco nella parte superiore del quadro si perde nello sfondo, in questa luce che si unisce con il cielo e viceversa. La terra e il cielo, oppure l’oscurità della terra e la luce, l’albero come luogo di incontro, l’albero come organismo di unità. Anche nella Bibbia l’albero ha un significato di fondamentale importanza e si può riassumere proprio come il posto della vita e dell’unità. Anche Casale fa il tronco, ma viene attratto anche dallo spazio disegnato da due tronchi, o tre, o quattro, ossia dal bosco. Nasce un’architettura della luce, della trasparenza e della materia opaca che potrebbe a momenti sembrare in contrasto, anche drammatico, con la luce, ma a momenti appare anche come evidenziatore, come quella che evidenzia la luce. Non c’è dubbio che il rapporto tra il tronco e il bosco viene scandito con un’architettura di un certo tono drammatico. Questo fatto testimonia semplicemente della verità dell’arte del nostro autore. Perché niente di ciò che è vero è facile. Potrebbe colpire il fatto che non vediamo le chiome: alcuni potrebbero cominciare a cercare le motivazioni di chi sa quale subconscio. Ma l’artista mi sembra talmente impegnato nella sua ricerca che lascia sufficientemente aperta la porta per poterlo seguire. Si è attratti dalla bellissima superficie delle cose vive del creato. Ma questo fascino è il frutto della luce. Seguire la luce significa scoprire dentro una realtà una realtà più profonda. Più o meno come vedere una pietra nella natura o vederla dopo collocata in una colonna della cattedrale gotica. Questi acquarelli dei tronchi difatti sembrano delle colonnate. L’artista ci sta invitando alla contemplazione, a guardare il mondo come una cattedrale. Ci sono dei toni alle volte molto scuri che quasi potrebbero ricordare il bruciato. E dunque anche se l’artista è giovane, o proprio perché è giovane, avverte che forse non tutti vedono così, non tutti seguono la luce e che una vita contemplativa, una conoscenza contemplativa passa per il dramma, così come la luce passa per il fuoco.
Casale dunque entra nella pittura odierna agganciandosi a delle correnti americane segnate da una certa moda, ma lui immediatamente fa vedere che questo gli serviva come ponte per lo sbarco. La sua ricerca si orienta infatti alle tradizioni pittoricamente più ricche della tradizione europea. Il mio augurio è che lui progredisca senza stancarsi e senza lasciarsi condizionare dagli applausi e dalle critiche, seguendo i sentieri della luce, visitando i tesori della memoria per avere la forza del divenire.
p. Marko Ivan Rupnik