Stratificazioni
“Si muore un po’ per poter vivere” (Vito Pallavicini)
“Demolire per ricostruire, riportare a nuova vita qualcosa che non ci soddisfa più, che ha smesso di
entusiasmarci, di comunicare, che è diventata fredda: è così che nascono i collage di Gabriele Casale.
L’artista ha ridotto in frammenti i lavori realizzati quando frequentava l’Accademia, come un novello
Michelangelo che ha preso a martellate il suo Mosè: l’insoddisfazione fa parte della ricerca artistica, è alla
base della creazione, pena la sensazione di sentirsi “arrivato”, di aver raggiunto un traguardo che comporta
staticità, ripetitività, se non addirittura noia, mancanza di comunicazione, di passaggio di nuovi contenuti
e sensazioni. Con questo non si vuole elogiare l’eclettismo o l’assenza di uno stile: al contrario la ricerca di
Casale si muove sul ritmo, sullo spazio, sul movimento, sulla materia, su un connubio tra figurativismo e
astrattismo, sulla riflessione su una natura non amena, né madre né matrigna, ma in grado di meravigliare,
di stupire con le sue leggi, conosciute o meno, di incuriosire, di suscitare il sublime tanto decantato dalla
pittura del Romanticismo, e riattualizzato da Casale secondo un linguaggio contemporaneo. Questo aspetto
si manifesta soprattutto negli ultimi lavori, in cui l’artista frappone l’incisività del segno -che in alcuni casi
arriva a strappare il foglio, graffia, scalfisce- con l’applicazione di materiali, il collage. Una sintesi tra il levare
e l’aggiungere, tra un lavoro in negativo ed uno in positivo insomma, attraverso cui Casale crea un connubio
tra due aspetti apparentemente contraddittori ma strettamente legati alla sua poetica della stratificazione
terrestre e a una componente istintiva, ad una coincidenza tra macro e microcosmo che si verifica quando
l’uomo è immerso nella natura atavica, ancestrale, primordiale, quando ristabilisce un contatto con la
propria origine più autentica.
Ma la riflessione sulla natura e sulla stratificazione è una costante nell’opera di Casale, e la ritroviamo
anche nei lavori meno recenti, quelli nati dalla distruzione e trasformazione delle opere del periodo
dell’Accademia. Qui, gli elementi informali richiamano motivi musivi, derivati dalla lunga collaborazione
dell’artista con l'Atelier dell'arte spirituale del Centro Aletti di Roma. In questo caso emerge la forza della
materia e del contatto con questa, che, al pari di artisti come Michaux o D’Orazio diventa il soggetto stesso
dell’opera, con cui Gabriele raggiunge un connubio perfetto e inscindibile con il messaggio, tra medium
espressivo e significato; non concepisce l’opera come una descrizione, ma utilizza il linguaggio instrinseco
della materia. Se, però, è vero che Casale ha guardato a ciò che è stato fatto prima di lui (elemento
imprescindibile per ogni artista che possa essere definito tale), trovando in quella che viene definita “Arte
materica” uno stile congeniale al suo modo di esprimersi, è altrettanto vero che ha superato la tradizione,
ha individuato cioè i suoi “padri spirituali” comunicando con un linguaggio contemporaneo, legato al
suo tempo, alla sua storia, al suo filtro personale, ribadendo così l’importanza della memoria e della sua
trasfigurazione. Sarebbe d’altra parte impossibile confondere lo stile di Casale con quello di un Tapies, di un
Burri o di un Fontana.
Nelle opere meno recenti, abbiamo frammenti di occhi, di volti, di storie, che in parte, soprattutto nei
giochi cromatici, aprono degli interrogativi sul ruolo del caso, del mistero, e più che raccontare, hanno
una componente di indefinitezza che spinge l’osservatore a costruire una storia, anche sulla base delle
sue sensazioni, del suo background, delle sue luci ed ombre, delle sue esperienze e del suo vissuto, che è
sicuramente arricchito dalla visione delle opere, è stimolato ad un’analisi introspettiva che può condurlo
a una rivisitazione di punti fermi e convinzioni, alla necessità di fare spazio al nuovo, al pari dell’artista che
dopo aver distrutto le vecchie opere e averle viste ridotte in frammenti, quasi dispiaciuto, quasi con un
senso di nostalgia intrinseco in ogni scelta, ha avvertito la necessità di superare –ma non dimenticare- una
vecchia esperienza, ha sentito l’esigenza di purificare, liberarsi di qualcosa che portava con sé anche un
ingombro, di esorcizzare il passato e conferire nuova forma alla memoria. Perché dove c’è crisi può esserci
creazione, può nascere nuova vita, come una fenice che risorge dalle proprie ceneri”.
Laura Cianfarani
“Si muore un po’ per poter vivere” (Vito Pallavicini)
“Demolire per ricostruire, riportare a nuova vita qualcosa che non ci soddisfa più, che ha smesso di
entusiasmarci, di comunicare, che è diventata fredda: è così che nascono i collage di Gabriele Casale.
L’artista ha ridotto in frammenti i lavori realizzati quando frequentava l’Accademia, come un novello
Michelangelo che ha preso a martellate il suo Mosè: l’insoddisfazione fa parte della ricerca artistica, è alla
base della creazione, pena la sensazione di sentirsi “arrivato”, di aver raggiunto un traguardo che comporta
staticità, ripetitività, se non addirittura noia, mancanza di comunicazione, di passaggio di nuovi contenuti
e sensazioni. Con questo non si vuole elogiare l’eclettismo o l’assenza di uno stile: al contrario la ricerca di
Casale si muove sul ritmo, sullo spazio, sul movimento, sulla materia, su un connubio tra figurativismo e
astrattismo, sulla riflessione su una natura non amena, né madre né matrigna, ma in grado di meravigliare,
di stupire con le sue leggi, conosciute o meno, di incuriosire, di suscitare il sublime tanto decantato dalla
pittura del Romanticismo, e riattualizzato da Casale secondo un linguaggio contemporaneo. Questo aspetto
si manifesta soprattutto negli ultimi lavori, in cui l’artista frappone l’incisività del segno -che in alcuni casi
arriva a strappare il foglio, graffia, scalfisce- con l’applicazione di materiali, il collage. Una sintesi tra il levare
e l’aggiungere, tra un lavoro in negativo ed uno in positivo insomma, attraverso cui Casale crea un connubio
tra due aspetti apparentemente contraddittori ma strettamente legati alla sua poetica della stratificazione
terrestre e a una componente istintiva, ad una coincidenza tra macro e microcosmo che si verifica quando
l’uomo è immerso nella natura atavica, ancestrale, primordiale, quando ristabilisce un contatto con la
propria origine più autentica.
Ma la riflessione sulla natura e sulla stratificazione è una costante nell’opera di Casale, e la ritroviamo
anche nei lavori meno recenti, quelli nati dalla distruzione e trasformazione delle opere del periodo
dell’Accademia. Qui, gli elementi informali richiamano motivi musivi, derivati dalla lunga collaborazione
dell’artista con l'Atelier dell'arte spirituale del Centro Aletti di Roma. In questo caso emerge la forza della
materia e del contatto con questa, che, al pari di artisti come Michaux o D’Orazio diventa il soggetto stesso
dell’opera, con cui Gabriele raggiunge un connubio perfetto e inscindibile con il messaggio, tra medium
espressivo e significato; non concepisce l’opera come una descrizione, ma utilizza il linguaggio instrinseco
della materia. Se, però, è vero che Casale ha guardato a ciò che è stato fatto prima di lui (elemento
imprescindibile per ogni artista che possa essere definito tale), trovando in quella che viene definita “Arte
materica” uno stile congeniale al suo modo di esprimersi, è altrettanto vero che ha superato la tradizione,
ha individuato cioè i suoi “padri spirituali” comunicando con un linguaggio contemporaneo, legato al
suo tempo, alla sua storia, al suo filtro personale, ribadendo così l’importanza della memoria e della sua
trasfigurazione. Sarebbe d’altra parte impossibile confondere lo stile di Casale con quello di un Tapies, di un
Burri o di un Fontana.
Nelle opere meno recenti, abbiamo frammenti di occhi, di volti, di storie, che in parte, soprattutto nei
giochi cromatici, aprono degli interrogativi sul ruolo del caso, del mistero, e più che raccontare, hanno
una componente di indefinitezza che spinge l’osservatore a costruire una storia, anche sulla base delle
sue sensazioni, del suo background, delle sue luci ed ombre, delle sue esperienze e del suo vissuto, che è
sicuramente arricchito dalla visione delle opere, è stimolato ad un’analisi introspettiva che può condurlo
a una rivisitazione di punti fermi e convinzioni, alla necessità di fare spazio al nuovo, al pari dell’artista che
dopo aver distrutto le vecchie opere e averle viste ridotte in frammenti, quasi dispiaciuto, quasi con un
senso di nostalgia intrinseco in ogni scelta, ha avvertito la necessità di superare –ma non dimenticare- una
vecchia esperienza, ha sentito l’esigenza di purificare, liberarsi di qualcosa che portava con sé anche un
ingombro, di esorcizzare il passato e conferire nuova forma alla memoria. Perché dove c’è crisi può esserci
creazione, può nascere nuova vita, come una fenice che risorge dalle proprie ceneri”.
Laura Cianfarani